Carlo Sisi
Da Poggiali Berlinghieri - Firenze ti @mo -catalogo della mostra
al Consiglio Regionale della Toscana, Morgana Edizioni, Firenze 2002.

 

 

I giocattoli e la natura

  La gioiosa invasione delle creature policrome e multiformi di Poggiali Berlinghieri non può passare inosservata - pur nei limiti del percorso virtuale ideato dall’artista per questa specifica pubblicazione - in giorni di difficile sopravvivenza nostra in una città bella per eredità di concezioni geniali ma devastata, nell’immagine e nel significato, dall’uso superficiale e consumistico che ne erode con sempre più precipitosa ingordigia il profilo ormai soltanto godibile sulle pagine asettiche dei libri di storia dell’arte.

Non so se Poggiali Berlinghieri, quando ha pensato di tracciare il suo itinerario fantastico, intendesse sovrapporre la fiduciosa idea del fare artistico ai tetri presagi dell’oggi ma è certo che nella dichiarazione del titolo, trasmessa con la grafica ironica e progressista del linguaggio telematico, la sua dichiarazione di amore reca un’implicita condivisione della diffusa volontà di superare la contingenza sfavorevole dell’oggi e la certezza, peculiare dell’artista, di poter contribuire, per via poetica, alla costruzione di più serene convivenze. Ecco allora che i profili antropomorfi dialogano, attraverso sigle espressive astratte ed ironiche, con i monumenti più illustri della città imponendo le loro sagome stilizzate e policrome sulle pietre di piazza Santa Croce – quasi a ricordare che una volta vi campeggiava la statua accigliata di Dante -, o di fronte agli intarsi geometrici della facciata di Santa Maria Novella; in arduo confronto con la verticalità della torre di Palazzo Vecchio o a sfidare i teoremi architettonici del loggiato brunelleschiano alla Santissima Annunziata, o ad occhieggiare, infine, il panorama di Firenze dalla collina di San Miniato come facevano un tempo i viaggiatori del grand tour.

Le materie son quelle dell’artigiano, soprattutto il legno e il vetro, e le figure che esse esprimono sembrano appartenere ad una fiaba domestica e però, a differenza di come capita nelle favole, sempre animate da una gioia candida e coinvolgente che non esclude tuttavia interrogativi sull’identità e sulla genesi di quelle ‘macchine celibi’ rievocate con intenzionale ingenuità da lontani sedimenti delle avanguardie. Penso a certe infantili passioni dei dadaisti, che si esprimevano appunto negli assemblaggi spericolati di legni, cartoni e altri materiali estranei alle convenzioni dell’arte, ma soprattutto al progetto futurista di “ricostruire l’universo rallegrandolo”, vale a dire di immettere l’arte nella vita per dare forma  estetica ad ogni manifestazione dell’esistenza. Poggiali ha certamente nel suo bagaglio di conoscenze, di affezioni e di sintonie artistiche i ‘complessi plastici’  di Balla e di Depero costituiti  dai materiali più svariati (fili di ferro, vetri colorati, piani di cartone, carte veline), spesso dotati di movimento a velocità variabili, capaci di scomporsi e di trasformarsi ed anche di produrre suoni e rumori.

Divenivano, quelle singolari creature polimateriche, veri e propri giocattoli il cui scopo era  di infondere allegria e spunti ironici ad un mondo  che doveva essere ringiovanito e rigenerato, ripopolato quindi di immagini non solenni e distanti ma predisposte ad essere toccate, manipolate, messe in movimento, perché appunto partecipi di un’avventura non convenzionale. Il dialogo con lo spazio urbano  e con i suoi abitanti intrapreso dalle opere di Poggiali Berlinghieri ripropone oggi quella entusiastica rivoluzione caricando i protagonisti della fiaba postmoderna d’una mansuetudine più lirica che aggressiva, più ottimistica che polemica, più incline insomma a facilitare traslati fra l’ingegnoso meccanismo di un giocattolo e l’intento di esprimere pensieri di concordia e di serenità.

Il lavoro di Poggiali si inscrive comunque , al di là di possibili e naturali convergenze con fatti del passato, entro gli eventi più recenti dell’arte in Toscana e in special modo – è già stato notato – nell’ambito dei risultati che la pop art ha avuto a Pistoia negli anni Sessanta: un’esperienza liberatoria rivissuta da Poggiali Berlinghieri con la levità e la fantasia ancora riconoscibili in certe sue composizioni che sigillano elementi naturali – la pioggia, ad esempio, su una parete esterna di casa sua – in sagome di materia astratta, fra la pubblicità e il cartone animato. D’altra parte la spinta a comporre meccanismi plastici in qualche modo antagonisti della piatta realtà quotidiana è presente, con diversi obiettivi e risultati, negli svolgimenti dell’arte contemporanea che percepisce la realtà attraverso le manifestazioni molteplici di un ‘umanesimo’ capovolto, affidato cioè alle tecniche e agli strumenti della civiltà mediatica, solo apparentemente basata su principi di logica funzionalità, sempre più implicata invece nei percorsi tortuosi della vita reale che chiede – come pretendeva la natura dagli artisti del passato – risposte non rivolte soltanto alla sfera dell’utile, della prassi, dell’omologazione sentimentale.

Poggiali Berlinghieri ha dato una risposta non solo tracciando nella città il suo itinerario di gioia, ma anche facendo spiccare il volo augurale di un Pegaso-giocattolo sullo spazio libero e in progress di una periferia fiorentina, uno dei tanti destinati  a coagulare, fuori dal magma storico e turistico della città, nuovi pensieri sui luoghi  e i destini dell’arte , che oggi si colloca di preferenza a diretto contatto con l’ambiente naturale in un dialogo serrato e capace di riproporre con grande efficacia la vitalità – evidentemente mai interrotta – della dialettica fra arte e natura, e l’impegno dell’artista a ritrovarne l’universale significato. Come accade ad esempio nel giardino maremmano di Niki De Saint Phalle, popolato dagli archetipi fantastici dell’artista, o negli altri spazi d’arte dove gli scultori hanno saputo realizzare opere affrancate dal ruolo di oggetti isolati favorendo la loro relazione diretta col paesaggio, anche nell’utopia urbana di Poggiali Berlinghieri esistono cellule poetiche volte a radicare nel tempo presente la convinzione che oltre il degrado e i rumori della vita pratica esistono orizzonti che, se impariamo ad ascoltare la natura, possono essere rinvenuti in zone riposte delle nostre facoltà immaginative.        

                                                                                                                  Carlo Sisi, febbraio 2002